Attualità › Disastro nel Golfo del Messico

Esplode un'altra piattaforma petrolifera nel golfo del Messico

02/09/2010

In mare 13 persone, una di queste è rimasta ferita. Sul luogo accorsi sette elicotteri e due aerei della Guardia Costiera. L'incidente è avvenuto a circa 130 chilometri dalla costa della Louisiana, a poca distanza dal sito di Deepwater Horizon da cui è partita la "marea nera" ad aprile. I proprietari: "Non c'è nessuna perdita di greggio"

A cinque mesi di distanza dal disastro di Deepwater Horizon e della "marea nera" un'altra piattaforma petrolifera è esplosa nel Golfo del Messico al largo delle coste degli Stati Uniti. Tredici persone sono state recuperate in mare dopo lo scoppio, una di loro è rimasta ferita. Sono in corso gli accertamenti per verificare se vi siano perdite di petrolio, anche se la compagnia ha già fatto sapere che non ci sarebbe alcuna fuoriuscita. La nuova esplosione è stata registrata attorno alle 9,30 del mattino, le 16,30 in Italia, a poca distanza dal luogo in cui si trovava la piattaforma Bp. L'impianto in questione è quello di Vermilion, di proprietà dell'americana Mariner Energy, situato a circa 130 chilometri dalla costa della Louisiana, le cui trivelle operano a circa 750 metri di profondità. Le autorità americane hanno confermato che la piattaforma non era attiva al momento dell'esplosione.

A segnalare per primo l'incidente è stato un elicottero privato che si trovava in volo sulla zona. Inizialmente si era parlato di alcuni dispersi, poi smentiti dalle autorità statunitensi. Sul posto sono accorsi decine di soccorritori a bordo delle navi della Guardia Costiera, giunte insieme a sette elicotteri e due aerei per spegnere l'incendio.

L'incidente di Deepwater Horizon, avvenuto lo scorso 20 aprile, ha provocato una perdita di 780 milioni di litri di greggio in mare, fermata solo poche settimane fa.

impianti attuali

Secondo il dipartimento dell'Interno, la piattaforma era sotto manutenzione e quindi inattiva quando è esploso l'incendio, come confermato anche dal portavoce di Mariner Energy ai microfoni della tv americana Cnbc.

La Mariner ha detto di non conoscere i motivi dell'esplosione nella struttura, che nell'ultima settimana di agosto, a regime, trattava in media 263mila metri cubi di gas e 1.400 barili di greggio e condensato al giorno.

Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha detto ai giornalisti che il governo è pronto ad intervenire nel caso di inquinamento delle acque.

Le prime notizie dell'incidente hanno fatto salire di 40 centesimi il costo del greggio alla borsa mercantile di New York, raggiungendo i 74,53 dollari al barile, perché all'esplosione si sono aggiunti i problemi che l'uragano Earl, in avvicinamento alla Carolina del Nord, porterà alle infrastrutture estrattive della costa.

Le azioni della Mariner Energy sono invece scese del 2% a 22,93 dollari dopo le prime notizie dell'esplosione. Anche i titoli di Apache (APA.N: Quotazione), che era in procinto di comprare la Mariner Energy, sono scivolate dell'1,3% a 91,18 dollari.

03/09/2010

Una piattaforma petrolifera al largo della costa della Louisiana, nel Golfo del Messico, si è incendiata. I 13 dipendenti che lavoravano sull'impianto si sono gettati in acqua e sono stati tratti in salvo dalla Guardia Costiera. Uno di loro è ferito ma non è grave. L'incidente è avvenuto a 80 miglia a sud di Grand Isle, in un impianto della Mariner Energy di Houston. L'incidente non ha provocato nessuna perdita come annunciato inizialmente.

Inizialmente, la Mariner Energy, l'azienda del gruppo Enron, proprietaria della base petrolifera, aveva dichiarato che, al momento dell'incendio, l'impianto era fermo. In seguito, la Guardia Costiera l'ha smentita, poi la società ha rettificato. Il peggio è stato evitato dai dipendenti sopravvissuti che hanno detto di aver azionato il meccanismo di emergenza che chiude il pozzo, subito prima di lasciare la base in fiamme.

La compagnia proprietaria dell'impianto ha inviato sul posto quattro navi che hanno estinto l'incendio sviluppatosi alle 9 locali, cioè alle 16 in Italia.

La piattaforma si trova a 160 km dalle coste della Lousiana e a circa 320 km dalla piattaforma Deepwater Horizon della Bp che, in seguito ad un incidente ad aprile, ha provocato una gigantesca catastrofe ambientale. A differenza della Deepwater, quella della Mariner Energy estrae il greggio in acque "basse", a circa 105 metri di profondità, rispetto ai 1500 metri dell'altra. Ciò significa che un'eventuale operazione di chiusura del pozzo sotto il mare sarebbe stata molto più agevole.

La nuova marea nera che si potrebbe riversare nelle acque del Golfo del Messico tiene in allarme la popolazione di quelle zone, che solamente quattro mesi fa ha dovuto fare i conti con la piu’ grande tragedia ambientale mai vissuta negli Stati Uniti d’America. A causare la preoccupazione e’ una struttura della Mariner Energy presente nel Golfo del Messico, a circa 130 chilometri di distanza da Grand Isle, in Louisiana, proprio di fronte a Vermilion Bay. Secondo gli ultimi dati pare che a causa dell’esplosione di questa piattaforma petrolifera si sia riversata in mare una striscia di petrolio lunga due chilometri e larga 30 metri.

06/09/2010

La panacea di tutti i mali che si invoca ad ogni piè sospinto è sempre quella. Più regole. L’incendio della Vermilion Oil 830 nel Golfo del Messico, per quanto improduttiva di effetti disastrosi, se non quelli economici subiti per il danneggiamento della petroliera da parte della Mariner Energy, ha subito suscitato allarme e riacceso la voglia di regolamentazioni più stringenti.

Nessuna onda nera. L’azienda petrolifera americana l’aveva anticipato e la Guardia Costiera ha potuto costatare l’esattezza dell’informazione. Nessun disperso e dopo poche ore è rientrata la notizia di un ferito. Ciononostante un incidente efficacemente contrastato dai sistemi di sicurezza prontamente impiegati dalla compagnia petrolifera ha fomentato nuovi appelli a regole più severe. Per il gruppo ambientalista Sierra Group “L'industria petrolifera continua a inveire contro le regolamentazioni, ma è chiaro a tutti che l'approccio attuale alle trivellazioni offshore è semplicemente troppo pericoloso”. Fa eco dall’Italia il Ministro Prestigiacomo, che ritiene più che mai forte il bisogno di “più stringenti regole a livello internazionale”.

Dopo il disastro della petroliera della British Petroleum, il Governo Obama ha tentato a più riprese di imporre una moratoria alle estrazioni off-shore, limitata alle estrazioni a livelli di profondità maggiori (oltre i 500 piedi, ossia 178,5 metri). La sospensione delle attività suscita alcune perplessità ed è giudicata di dubbia legittimità. Di sicuro nuoce alla stabilità finanziaria della British Petroleum, che, fa sapere, incontrerà maggiori difficoltà a risarcire i danni ambientali provocati dall’esplosione dell’impianto nell’aprile scorso a causa della sospensione decisa.

In Italia è invece andata in porto la misura che vieta le trivellazioni a meno di 5 miglia dalla costa (12 miglia nelle aree protette), ossia a livelli mediamente meno profondi. La norma, introdotta nel Codice ambiente (d.lgs. 152/06) dall’ultima riforma (d.lgs. 128/10), in vigore dal 26 agosto, prevede che siano “vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare… nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale”.

Quella dell’Italia è stata una reazione scomposta ad un incidente (quello verificatosi lo scorso aprile) avvenuto in condizioni che non si possono verificare nel Mar Mediterraneo. Come ha ben commentato Carlo Stagnaro alcune settimane fa, le difficoltà che si incontrano nel contenere ed arrestare gli effetti di un incidente ad una piattaforma petrolifera che opera a 1500 metri di profondità non ha nulla a che vedere con le attività che si svolgono nel Mar Mediterraneo, a maggior ragione a 5 o 12 miglia dalla costa, a poche decine di metri di profondità.

L’appello a nuove e più stringenti regole comunitarie non trova poi adeguate giustificazioni, tenuto presente che le piattaforme del mare nostrum operano a profondità tra i 100 e i 1000 metri. Analoghe osservazioni sono state espresse a commento dell’incidente della Mariner Energy: gli esperti hanno fatto sapere che, quand’anche si fossero verificate delle fuoriuscite, il problema si sarebbe risolto in tempi decisamente rapidi limitando significativamente i danni all’ambiente.

Ma ogni volta che si verifica un incidente di questo tipo si innescano meccanismi di tipo apotropaico che coinvolgono tanto la stampa quanto la politica. La prima si vede impegnata in un’opera di enfatizzazione di ogni episodio, anche, seppur di gravità infinitamente minore, che presenti alcune analogie. Mai sarebbe stato dato tanto risalto a due incidenti senza vittime né significativi danni all’ambiente come quelli avvenuti nella piattaforma della Mariner Energy e alla petroliera della Woodward Oil arenatasi sul Mar Artico in Canada (anche in questo caso nessun versamento) se non vi fosse stato il precedente della DeepWater Horizon. I policy maker, dal canto loro, vedono solleticate le loro aspirazioni a farsi risolutori dei mali che attanagliano il mondo e sono pronti a migliorare per legge la sicurezza delle industrie, sicuri che non dovranno render conto se i maggiori costi imposti alle imprese siano stati davvero utili a ridurre i rischi.

C’è solo un problema, il processo di creazione di costose e più stringenti regole è cumulativo e va di pari passo con un irreversibile processo di riduzione dei margini di libertà e innovazione dell’impresa. In più, regole più stringenti inducono paradossalmente a comportamenti più rischiosi. Compito dell’impresa non è più salvaguardare la sicurezza dei propri dipendenti, dei propri asset e dell’ambiente in cui opera, ma adempiere agli obblighi di legge. Se questi non bastassero ad evitare un disastro, sarà sufficiente dimostrare il rispetto delle buone tecniche e delle regole fissate dal legislatore.

Spesso l’eroismo che prova di sé il regolatore trascura un dato banale: la sicurezza conviene in primo luogo all’impresa. Il principio della responsabilità individuale, che per primo ha partorito forme di tutela dell’ambiente, come estensione del diritto di proprietà, è la migliore garanzia di sicurezza.