Generalità sul maremoto o tsunami

Il maremoto, o tsunami come è stato chiamato in epoca recente nella letteratura internazionale, è un'onda molto lunga (andremo nei dettagli più avanti) che arrivando sulla costa si trasforma, in certe condizioni, in un muro d'acqua alto anche molti metri che si propaga anche fino a distanze notevoli nell'entroterra. Le conseguenze, come abbiamo visto nel recente episodio nel sud-est asiatico, possono essere disastrose.
Il maremoto ha origine dal mare dove, per una qualche ragione, viene a crearsi improvvisamente un sollevamento od un abbassamento locale della superficie. Le dimensioni di questi scostamenti, sia in senso orizzontale che verticale, dipendono dalla ragione che li ha causati. Una ragione relativamente comune sono le frane, sia da una montagna in mare, vedi il recente episodio di Stromboli in Italia, che sottomarine. È chiaro che, più grande la frana, più grande è lo spostamento d'acqua e quindi l'onda di maremoto che ne segue. La ragione più frequente sono comunque i terremoti sottomarini. Un terremoto è causato da un riassestamento rapido delle zolle continentali che compongono la struttura esterna del nostro pianeta. Le zolle sono in continuo movimento, lento nella scala di tempo della vita umana, ma scorrono una rispetto all'altra con difficoltà. Ogni tanto, quando la molla è troppo carica, c'e uno scorrimento rapido con conseguenti vibrazioni che sono appunto il terremoto. Se il movimento avviene nella parte coperta dagli oceani, da un punto di vista il problema è ridotto in quanto le vibrazioni arrivano attenuate nella zona emersa e quindi abitata. Tuttavia, se il movimento delle zolle comporta scostamenti verticali, tipicamente da qualche centimetro fino a circa un metro, l'acqua sovrastante deve seguire lo spostamento. Spesso questi scostamenti vanno ad interessare grosse estensioni di terreno, fino a 100-200 km o più, quindi ci si trova di colpo ad avere un sollevamento, od un abbassamento, della superficie di queste dimensioni. L'acqua cerca il suo equilibrio e parte quindi un'onda più o meno circolare che si propaga in tutte le direzioni.

Praticamente come quando buttiamo un sasso nell'acqua. Queste onde sono estremamente veloci, la velocità dipendendo dalla profondità tramite una semplice formula. Si moltiplica la profondità, diciamo 4000 metri, per la costante di gravità, 9,81 approssimata a 10, (quindi 40,000) e si estrae la radice quadrata (200). Questa è la velocità dell'onda in metri al secondo, corrispondente a 720 km/ora. Questo non significa che in mare profondo l'onda sia pericolosa. La sua lunghezza, mettiamo 120 km, implica che ci mette 10 minuti a passare, per cui una nave sul suo percorso si limiterà ad alzarsi e poi abbassarsi dolcemente al massimo un metro sull'arco di 10 minuti. In pratica il fenomeno è inavvertibile. I problemi cominciano quando la parte avanzata dell'onda raggiunge la costa e si propaga quindi su profondità molto più basse. Ciò significa che rallenta moltissimo (su 10 metri di profondità la velocità è ridotta a 10 m/s, quindi 36 km/ora). Tuttavia la parte retrostante continua a correre veloce, raggiungendo la parte avanzata ormai lenta, e tendendo a sopravanzarla. In progressione questo crea quel muro d'acqua che abbiamo visto nelle immagini mentre avanza verso la costa. Contrariamente ad un'onda normale che si frange e subito torna indietro, l'onda di maremoto ha un periodo che può appunto arrivare a 10 minuti. Quindi, quando il fronte frangente arriva sulla costa, continua a procedere all'interno per diversi minuti in quanto dietro c'è l'onda che continua a spingere. È per questo che un'onda di maremoto può propagarsi all'interno della costa, continuando a travolgere tutto sul suo percorso. Il comportamento dell'onda presso la costa dipende moltissimo dalla conformazione del fondale. Gli effetti peggiori si hanno quando il fondo risale rapidamente perchè allora la diminuzione di velocità del fronte è estremamente rapida e l'onda frangente che si crea scarica tutta la sua energia sulla costa. Viceversa, se il fondo risale progressivamente, per esempio da 100 metri di profondità fino alla costa su una distanza di 100 o più chilometri, l'onda frangente si crea già molto al largo e continua a perdere energia mentre avanza. L'effetto è spesso quello di arrivare a costa non come un muro d'acqua, ma come una crescita rapida e progressiva del livello marino, seguita dal successivo deflusso, che dura diversi minuti. La dinamica di queste onde è tale per cui quasi sempre si scorporano in un seguito di due o tre onde. In funzione della ragione che le ha causate, il primo segnale che raggiunge una determinata località può essere un innalzamento od un abbassamento della superficie marina. Questo può essere ingannevole, in quanto lo scoprire il fondale e ciò che esso contiene, compresi i pesci lasciati su di esso, porta molte persone ignare ad addentrarsi nella zona scoperta, solo per essere tragicamente travolti dall'ondata successiva che giunge pochi minuti dopo. Le onde di maremoto sono state chiamate per lungo tempo nella letteratura internazionale "tidal wave", ovverosia "onda di marea", ciò proprio a causa del loro lungo periodo (i 10 minuti su citati). Poi, per evitare confusione con le vere onde di marea, quelle che fanno alzare ed abbassare giornalmente il livello del mare, si è deciso di usare la parola giapponese "tsunami". Anche qui la definizione non è completamente corretta, in quanto in giapponese tsunami significa "onda di porto", quando nei porti ci sono altre ragioni di oscillazione del livello marino. Tuttavia questo è ormai il termine internazionalmente riconosciuto, anche perchè i giapponesi hanno una lunga esperienza di tsunami. Quali sono le regioni più esposte al pericolo di tsunami? Chiaramente quelle dove più attive sono le zolle continentali. Esiste una lunga storia di tsunami nel Pacifico e nel sud-est asiatico, ma queste non sono certamente le uniche zone. Tuttavia nel Pacifico gli tsunami sono abbastanza frequenti da aver portato ad un sistema di previsione operante 24 ore su 24 365 giorni all'anno. Il sistema, a cui partecipano Giappone, Stati Uniti e Canada, è composto da centri operativi in ogni singolo paese. Non appena si verifica un terremoto sottomarino, il confronto dei segnali dei sismografi alle diverse località permette di determinare molto rapidamente la posizione esatta dell'evento. Poichè la velocità dell'onda di maremoto è determinata dalla profondità del mare, è possibile calcolare in anticipo dove e quando essa giungerà. Rimane l'incognita della sua altezza in mare, e quindi delle conseguenze sui luoghi che verranno raggiunti. Per questo esiste un sistema di rilevatori sul fondo del mare in grado di rilevare il passaggio dell'onda di maremoto e le sue caratteristiche (altezza, lunghezza, durata o periodo). Questo permette di fare un calcolo preciso delle caratteristiche dello tsunami alla costa e quindi di preavvisare la popolazione. Questo è forse il problema più difficile, in quanto l'informazione dev'essere capillare. Nei paesi citati esiste tutta un'organizzazione al riguardo, con in alcuni posti esercitazioni periodiche per abituare la popolazione alla possibilità dell'evento ed a come reagire al segnale di pericolo, dato tipicamente da sirene sulla spiaggia. La domanda che tutti ci siamo posti è: era possibile fare qualcosa per avvisare le popolazioni dove si è abbattuto il maremoto del 26 dicembre? Teoricamente si, e certamente si è provato a farlo. Il centro delle Hawaii, isole dove i maremoti sono relativamente frequenti e dove appunto esiste un centro per il continuo monitoraggio della situazione, l'allarme era stato passato. Tuttavia, se nel paese a cui l'informazione viene passata non esiste un'organizzazione apposita, è praticamente impossibile reagire in maniera concreta nell'arco del poco tempo disponibile. Quest'ultimo varia con la distanza della costa interessata dal luogo dove è avvenuto il sisma iniziale, e da cui quindi è partita l'onda di maremoto. Esiste poi la condizione oggettiva del paese, con la sua struttura interna. Se la popolazione è dispersa su una miriade di piccole località distanti e non comunicanti fra loro, la possibilità di avvertire in tempo la popolazione è praticamente inesistente. Nel caso del 26 dicembre Sumatra era praticamente di fronte alla zona del terremoto, e quindi li lo tsunami è arrivato dopo pochissimo tempo. Le coste dello Sri Lanka e dell'India sono state raggiunte dopo un paio d'ore. Un tempo un pò superiore è stato necessario per raggiungere le isole Maldive. Certamente le 10 ore necessarie per raggiungere le coste africane erano sufficienti per intervenire in maniera più efficace. Quanto eccezionale è stato l'evento del 26 dicembre? Certamente molto eccezionale. I dati sismologici indicano che questo, come intensità, è stato il sisma più violento degli ultimi 40 anni ed il quinto nella storia dei terremoti sulla Terra da quando esistono le registrazioni sismografiche. Le misure da satellite indicano che la zolla contenente l'isola di Sumatra si è spostata dell'ordine delle decine di metri. Questo può dare un'idea della quantità di energia in gioco e quindi di quella contenuta nell'onda di maremoto. Il terremoto sarebbe stato tragico anche se avvenuto sulla terraferma, probabilmente non ai livelli di vite umane che ha causato invece il maremoto. Ciò che ha trasformato il tutto in una tragedia di queste dimensioni e di tale risonanza è stato anche il fatto che il maremoto abbia investito così tante regioni diverse. Ci sono testimonianze nel passato di maremoti altrettanto drammatici? La risposta è positiva, anche se non è sempre semplice fare un paragone sulla base delle vittime causate dallo tsunami. Solo in tempi recenti l'esplosione, prevista, del vulcano Krakatoa nell'arcipelago della Sonda, e quindi sempre nel sud-est asiatico, creò nel 1883 un'onda di maremoto ben più alta di quella recente e che causò devastazione in tutta la zona fino a distanze rilevanti. Le isole Hawaii ed il Giappone hanno sofferto pesantemente e continuamente per ripetuti tsunami, il che è poi la ragione perchè in queste isole esiste sia una conoscenza diffusa del fenomeno che un sistema di previsione ed allarme. In Alaska esistono tracce recenti di un maremoto dove, sulla base dell'evidenza locale, si stima che l'onda abbia raggiunto posizioni sulle montagne che circondano la baia interessata fino a più di 100 metri sopra il livello del mare. Anche le nostre regioni sono state ripetutamente colpite da maremoti. In tempi non documentati, ma abbastanza vicini da entrare nella memoria popolare, un vulcano esplose nel mar Egeo con conseguenze disastrose. I resti formano oggi l'isola di Santorini, e le dimensioni della baia danno bene un'idea della dimensione originale del vulcano, e quindi della sua esplosione. Questo è stato probabilmente l'evento che ha dato luogo alla leggenda di Atlandide. In tempi molto più vicini il terremoto ed il conseguente maremoto di Lisbona, e molte zone circostanti, nel 1755 distrusse praticamente la città. Nel 1908 la zona dello stretto di Messina fu colpita da un terremoto di eccezionale intensità. Il maremoto che ne seguì causò la morte della maggior parte delle 100,000 vittime del sisma. L'Italia si trova su una zona di faglie, la separazione fra zolle adiacenti, molto attive, come testimoniato sia dalla presenza di vulcani che dai numerosi terremoti che hanno investito il paese. L'evento di Messina non è stato un fatto isolato. La zona era già stata investita precedentemente da un simile fenomeno. Quindi tali eventi possono ripetersi ancora.


Articolo di Maremoto